Ho letto con interesse sia la notizia che il dibattito susseguito alla pubblicazione, da parte di centumcellae.it, delle foto che individuano, nel perimetro di Torre Valdaliga nord, di alcuni sacchi dal contenuto non meglio precisato e, come tale, “sospetto”.
Il lato spiacevole è stato il silenzio sia di Enel che delle istituzioni locali, che comunque sono chiamate a vigilare da un punto di vista ambientale.
Silenzio assordante, contro cui, giustamente si sono scagliati sia Vittorio Petrelli che Cristina Riccetti.
Di certo Enel e comune dovranno rendere conto tanto della natura di quella polvere giallastra quanto dell’interruzione delle attività di monitoraggio dell’aria. E’ nostro diritto, nostro vuol dire dei cittadini di Civitavecchia e del comprensorio, sapere se la nostra salute e quella dei nostri figli è minacciata.
Il protrarsi del silenzio da parte dell’azienda elettrica e della pubblica amministrazione potrà essere letto solo ed esclusivamente come un’ammissione di colpa.
Ma farei, riguardo all’accaduto, anche uno sforzo maggiore, perché se è giusto indicare episodi concreti su cui indagare, è anche meglio comprendere tutto il castello di fatti e motivazioni che rende possibili questi scenari; insomma curare sì i sintomi, ma anche andare al cuore del problema, della malattia.
Enel attua la politica energetica nazionale, o meglio, dovrebbe essere così. Ad ogni osservatore, anche se non troppo acuto, appare chiaro che Enel, invece, “è” la politica energetica nazionale. I governi, sia di destra che di sinistra, che dovrebbero valutare l’impatto economico, sociale e sanitario delle proprie scelte, senza neanche una grossa dialettica interna, hanno sempre approvato e fatte proprie le scelte dell’azienda. L’azienda, come tale, non è orientata al bene comune (attività di pubbliche relazioni e di ufficio stampa a parte), bensì al profitto.
Siamo di fronte ad un paradosso grave dove un’impresa con un fine particolare (il guadagno) condiziona coloro i quali devono equilibrare le necessità energetiche collettive con il bene comune.
L’azione di Enel è, insomma, un insulto al concetto stesso di democrazia.
Da un punto di vista locale l’azienda raddoppia il suo insulto; già stringe il collo al comune che, grazie a pregresse scellerate scelte di politica economica, sarebbe al collasso senza i fondi “compensativi” che provengono dall’azienda. La carità dell’azienda elettrica dà la possibilità al comune di Civitavecchia di sopravvivere. Come pretendere che il comune sorvegli Enel?
In ultimo, ma non meno importante, c’è il problema dei combustibili, senza i quali le centrali non funzionerebbero. In un mondo in cui tutti cercano di lasciarsi alle spalle sia il petrolio sia i combustibili fossili, in Italia si è identificata una possibile e folle strategia nell’uso del carbone. Peggio ancora si è paventata, per Civitavecchia, la possibilità di bruciare i rifiuti urbani in centrale. Il governo ha smentito, d’accordo, ma all’epoca smentì anche l’utilizzo del carbone, ma questo a Civitavecchia, oggi, è una realtà.
Tirando le somme pare che le istituzioni, di fronte ad Enel, contino quanto il due di coppe quando regna bastoni.
Ora ci spieghiamo meglio il silenzio assordante di cui parlavamo.
Il problema è, quindi, certamente chiedere con forza cosa sia quella roba depositata nell’area Enel di Civitavecchia ma occorre, con altrettanta forza, non farsi distogliere dal fatto che il problema reale è il comportamento di Enel sia in materia di politica energetica che di rapporti con le istituzioni (che dovrebbero iniziare a prendere sul serio il proprio ruolo di garanti della collettività, non alzare la voce solo per avere qualche spicciolo in più).
Tutto il resto sono solo tristi, inammissibili, ma logiche conseguenze.
L’invito che mi sento di rivolgere a noi tutti è abbastanza semplice: non curiamo i sintomi, ma la malattia, che ha un nome, un cognome ed una ragione sociale.
Mario Michele Pascale
coordiantore regionale del movimento dei Radicali di Sinistra

 
 
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