A poco più di un anno di distanza dallo straordinario risultato referendario che nel giugno scorso ha sancito la contrarietà del 57% degli italiani alla privatizzazione dei servizi pubblici, arriva in questi giorni la sentenza della Corte Costituzionale che mette una pietra sulle misure legislative che, da allora ad oggi, hanno continuato ad ignorare sistematicamente il risultato referendario spingendo ovunque, nelle città e nei territori, processi di privatizzazione dei servizi di base, a partire da quello idrico.
In particolare, nell’agosto scorso, a due mesi esatti dalla data del referendum, il Consiglio dei Ministri approvò il cosiddetto decreto ferragosto, (d.l. 138/2011, poi convertito nella legge 148/2011) che riproponeva, all’art.4, il medesimo tenore letterale dell’art. 23 bis del decreto Ronchi, abrogata con il primo quesito referendario.
Il pronunciamento della suprema Corte (contenuto nelle sentenze 199 e 200/2012) riguarda in particolare la manifesta illegittimità costituzionale e inammissibilità dell’art 4 e l’ illegittimità costituzionale – non fondatezza – inammissibilità – cessata materia del contendere dell’art.3 del succitato decreto.
E’ dal giorno seguente alla proposizione del decreto legge che i movimenti per l’acqua pubblica e le organizzazioni sociali che hanno partecipato negli ultimi anni alla costruzione del percorso di rivendicazione dell’acqua come bene comune, continuano a denunciare l’illegittimità di tale norma e lo strappo democratico compiuto ignorando palesemente la volontà espressa dalla popolazione attraverso l’utilizzo di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta esistenti nel nostro ordinamento costituzionale: il referendum abrogativo.
La decisione della Corte Costituzionale, che segue i ricorsi regionali e quelli dei giuristi ALgerto Lucarelli, Ugo Mattei , Colajacono, presentati dopo il referendum, riafferma oggi l’esistenza e il necessario riconoscimento di un vincolo referendario a cui il parlamento è tenuto a sottostare, non potendo legiferare in maniera contraria o difforme da quanto emerso dalla consultazione popolare. In caso contrario, la riproposizione in norme di quanto abrogato da un referendum si traduce nella violazione dell’art.75 della costituzione, istitutivo dell’istituto referendario. La decisione della Corte comporterà di conseguenza l’annullamento di ogni decreto e provvedimento emesso successivamente al referendum in palese contrasto con l’esito referendario.
La sentenza di oggi è una grande vittoria per gli oltre 27 milioni di italiani che hanno votato per il referendum, per gli attivisti e le attiviste che in tutti i territori del paese si sono mobilitati negli ultimi anni e per tutti i cittadini e le cittadine di questo paese.
Ancora una volta e mai come oggi si scrive acqua ma si legge democrazia
fonte: Comitato Acqua Pubblica