"La parte migliore di me": al teatro San Paolo è andato in scena il dramma dei padri separati Intervista a Ilaria Di Luca e Andrea Gambuzzo

“La parte migliore di me” con Ilaria Di Luca e Andrea Gambuzza, in scena al Teatro San Paolo, a Ostiense dall’8 al 12 novembre, è uno spettacolo teatrale che affronta un tema caro alla nostra Associazione: quello dei padri separati, delle difficoltà che le separazioni creano e delle conseguenze che hanno sui minori coinvolti.

L’esercito dei padri separati in continua crescita, la difficoltà della ricostruzione emotiva e sociale e le storie di povertà estrema che ogni giorno affollano le nostre cronache hanno reso necessario questo spettacolo.

Codici, da sempre in prima linea con la campagna “Voglio Papà” per l’affermazione del principio di bigenitorialità, ha voluto fare alcune domande ai due protagonisti dello spettacolo.

Ilaria, Andrea, com’è nata l’idea di fare uno spettacolo teatrale incentrato su questo tema?

Essendo una coppia, oltre che sul palco, anche nella vita e pur non essendo ancora genitori (ma essendo in ogni caso ancora figli…), ci siamo interrogati sul significato e le conseguenze che determinati tipi di conflitti possano avere sullo sviluppo emotivo dei bambini. Essendo circondati da casi di separazione, anche molto vicini, più o meno conflittuali, e vedendo quanto in questi influiscano i singoli percorsi di crescita delle persone coinvolte e la capacità, crediamo soprattutto, di lasciarsi “trasformare” o di uscire, come spesso si dice, dalla propria “zona comfort”, abbiamo riflettuto su quello che possa comportare una “crisi” di questo tipo e quale opportunità possa rappresentare, una volta elaborato il trauma. Ci è parso, nella dinamica di delusione delle aspettative e nella rinascita auspicabilmente conseguente, di poter intravedere un parallelismo con il periodo che stiamo vivendo: le crisi dei ruoli vissute prevalentemente dai maschi, data l’emergenza economica e lavorativa (“Se non sono più in grado di badare alla mia famiglia, non so più chi sono…”) che spesso porta a violente conseguenze, nei confronti di se stessi o del proprio partner, la caduta degli ideali, l’evoluzione dei modelli familiari. Tutto questo ci è sembrato un terreno fertile per iniziare un percorso di indagine e coinvolgere il pubblico, mediante la storia che abbiamo scelto di raccontare, in un viaggio nel quale potesse ritrovarsi e magari leggere sotto un’altra luce o con strumenti nuovi gli avvenimenti che in modo più o meno diretto capitano alla maggior parte di noi. La scommessa, in tutto questo, era riuscire a creare un testo teatrale che fosse in grado di divertire, far sorridere e coinvolgere emotivamente senza risultare patetico o pretenzioso… E le reazioni che il pubblico ci ha mostrato fin’ora ci danno motivo di credere di esserci riusciti.

Quanto è diffuso questo fenomeno in Italia?

Purtroppo molto, abbiamo visto anche come la recente cronaca (la vicenda di Marco Della Noce, l’ex comico di Zelig, alle prese con una vicenda dolorosa da padre separato) dimostri che situazioni come queste rischino di non risparmiare nessuno.. Sono storie dolorose, che suscitano sgomento tanto più quando coinvolgono personaggi noti, di quelli che il pubblico immagina avere una vita sgombra dalla preoccupazione di come arrivare a fine mese… Non conosciamo i dettagli della vicenda e come sempre, almeno come cerchiamo di fare nello spettacolo, è complesso distribuire delle responsabilità senza risultare faziosi. Vero è che la legislazione e l’apparato burocratico, almeno nella maggior parte dei casi, sembra avvantaggiare le mogli, alle quali, quasi sistematicamente viene concesso l’affidamento dei figli e conseguentemente l’usufrutto dall’abitazione, con annessi assegni di mantenimento e tutto il resto che conosciamo… Se la moglie non lavora, o non ha un reddito dimostrabile, questo si ripercuote economicamente sull’uomo, il quale si ritrova a quel punto estromesso dal nucleo familiare e “costretto” a provvedere al sostentamento della prole e dell’ex-coniuge finendo magari privato della possibilità di riconoscersi una vita quantomeno dignitosa. Tutto questo, ovviamente, si esaspera quando la separazione avviene in modo deliberatamente conflittuale e la differenza crediamo possano farla le professionalità coinvolte (magistrati, avvocati, psicologi…), che valutino con attenzione la vicenda garantendo pari diritti e pari responsabilità all’uomo e alla donna. Non è sempre così e crediamo che il retaggio che prevede che il ruolo del maschio sia quello di lavorare e portare, come si dice dalle nostre parti, “il pane a casa”, mentre quello “affettivo” di crescita dei figli sia esclusivamente delle donne, sia un pregiudizio obsoleto. Ci sono padri che chiedono di veder riconosciuto il loro diritto di partecipare quotidianamente alla vita affettiva dei figli e madri che non sempre interpretano con adeguata responsabilità il ruolo genitoriale, ma in questi casi la lotta è troppo spesso impari.

Avete avuto modo di entrare in contatto con tanti padri separati? Quali sono le difficoltà emerse? Qual è il ruolo emerso invece nella realtà dalle testimonianze dei padri separati che ha incontrato?

Si certo, partendo proprio da un lavoro di interviste fatte ad alcuni protagonisti di vicende analoghe, tra i quali gli ospiti del Residence
dei Babbi, attivato due anni fa dal Comune di Rimini e uno scrupoloso lavoro di documentazione sulle prassi e le normative in tema di affidamento di minori, lo spettacolo vuole osservare da vicino quello che è diventato uno dei disagi simbolo della nostra generazione, tentando di porsi degli interrogativi su una questione che crediamo sostanziale, ovvero: l’assenza di prospettive data dalla rottura degli argini col vecchio modello di famiglia.
La generazione della quale facciamo parte, rotti gli argini della gerarchie precostituite dal vecchio modello di famiglia, subendo spesso attonita il cambio (se non la totale carenza) di prospettive concrete per il futuro, si trova tutt’un tratto costretta ad improvvisare.
Improvvisare nell’esistenza, nella costruzione di un sistema di valori, nella formazione di una cosapevolezza di se stessi, buona per far fronte ad un mondo molto più complicato di come ci è stato lasciato in eredità. Volevamo parlare di questo, volevamo dar voce anche a questo dolore che abbiamo riscontrato purtroppo vibrante e ancora incapace di organizzare un vero e proprio riscatto.

Che ruolo ha l’assistente sociale protagonista dello spettacolo?

Un ruolo scomodo, cavalcando lo stereotipo con il quale spesso viene percepita dalla società e dallo stesso nostro padre separato, Maurizio Carletti, l’abbiamo fatta entrare in scena ruvida e tesa per poi rivelarne, passo dopo passo, le fragilità e le potenzialità.
Laura Falleni, questo il suo nome, da integerrima espressione della prassi, riuscirà a riscattarsi agli occhi del nostro protagonista e del pubblico, dimostrando che laddove si insinua il dubbio, il timore di sbagliare e il desiderio di fare bene il proprio mestiere, può nascere qualcosa di buono, qualcosa che porti verso la catarsi e la risoluzione da tutti sempre auspicata.



Fonte: CODICI:

“La parte migliore di me”: al teatro San Paolo è andato in scena il dramma dei padri separati Intervista a Ilaria Di Luca e Andrea Gambuzzo

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