Sono passati tre anni da uno dei peggiori disastri ambientali della storia, subito dimenticato perché rischiava di danneggiare la politica energetica di Trump, incentrata sulle nuove trivellazioni americane alla ricerca di shale gas.
Il problema risiede nel fatto che il metano, più leggero dell’aria, raggiunge senza venire bruciato, gli alti strati dell’atmosfera.
Le stime indicano che l’1,5% dell’intera produzione mondiale, che equivale a 50/60 miliardi di metri cubi – quanto consumiamo in Italia – viene liberato in atmosfera.
Studi recenti, basati sulle osservazioni della Nasa, concludono che se la quantità di metano liberato in atmosfera aumentasse al 2% della produzione, verrebbero meno i benefici derivanti dal bruciare gas piuttosto che carbone.
Il nuovo metodo di ricerca del gas consiste nel fratturare le rocce di tanti piccoli pozzi le cui perdite sono molto maggiori di quelle derivanti dallo sfruttamento di un unico giacimento, che però, come accaduto in California, comporta rischi ben maggiori.
Ma anche il processo di liquefazione del gas, per renderlo trasportabile via nave, è pesantemente energivoro.
L’idea quindi che il metano, sia esso gassoso o liquefatto, possa essere considerato un combustibile pulito, e per questo alternativo al carbone, risulta totalmente errata.
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